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Il progetto di ricerca

Il progetto di ricerca intende approfondire alcuni aspetti della figura e dell'opera di Aby Warburg seguendo un orientamento metodologico interdisciplinare e trasversale. Negli ultimi anni l'opera di Warburg è stata oggetto di un rinnovato interesse scientifico e accademico, anche in ambiti disciplinari diversi dalla Storia dell'arte. Sebbene in tale disciplina Warburg sia diventato ormai un nome importante e indiscusso e abbia contribuito in maniera significativa alla definizione di una nuova metodologia di analisi e di lavoro che non pertiene solo all'ambito strettamente storico-artistico, la sua opera non è ancora stata sufficientemente studiata nella sua complessità critica, filosofica e culturale.
L'opera di Warburg parte da un approccio innovativo alla storia dell'arte, "non-estetizzante" (come era invece tipico del suo tempo), ma iconologico: si oppone cioè al formalismo e alla considerazione puramente formale dell'opera d'arte, per sottolineare, invece, l'importanza della "forza" delle immagini, della loro 'energia' e della loro capacità di movimento e alterazione costante nel tempo. A partire dai primi decenni del Novecento con Warburg la Kunstgeschichte tradizionale, di impronta winckelmanniana, diventa quindi una Kulturwissenschaft di matrice nietzschiana, vale a dire una scienza della cultura aperta e attenta alle tracce mnemoniche del tempo che si depositano sull'opera. Già negli anni Sessanta del Novecento Carlo Ginzburg sottolineava il duplice fine della ricerca di Warburg, vale a dire considerare le opere da un lato come fonte sui generis per la ricostruzione storica, dall'altro come prodotto e sintomo della storia (C. Ginzburg, Da Aby Warburg a Ernst H. Gombrich, in Id., Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, Torino 1992, pp. 29-106).
Il presente progetto vuole dunque porre l'accento sulla possibilità di estendere le questioni aperte da Warburg anche ad altre discipline umanistiche e di applicare la sua metodologia alla storia della letteratura, facendo particolare attenzione alla relazione tra "parola" e "immagine". Si tratta di prediligere un'analisi critica che proceda non in modo cronologico, seguendo generi o correnti artistiche, ma in maniera dinamica e trasversale, per fare emergere aspetti nuovi e inesplorati delle scienze della cultura, punti di contatto o distorsioni e divergenze tra le varie opere e le varie culture.
Sulla scia della prima opera dedicata a Warburg da Ernst H. Gombrich (Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Milano 1983 [1970]), Georges Didi-Huberman ha sottolineato l'importanza del "movimento" in Warburg, inteso sia come "oggetto" dei suoi studi (la "Ninfa"), sia come "metodo" di studio: se da un lato è evidente l'influenza della "morfologia" goethiana dell'eterna metamorfosi delle forme, secondo la quale la forma "originaria" permane nel cambiamento, nulla muore, ma tutto si trasforma, dall'altro viene posto l'accento sul movimento della storia della cultura e della metodologia d'analisi.
Il nostro progetto vuole partire da questa premessa per "analizzare" il concetto di "movimento", di energia dinamica, e allo stesso tempo per "applicarlo" allo studio della letteratura, delle arti, della filosofia; una tale metodologia, incentrata sul dinamismo spaziale e temporale, vale a dire sulla ricerca interdisciplinare da un lato e sul motivo della sopravvivenza nel tempo di particolari motivi iconologici dall'altro, non può non tenere conto dell'elemento "altro" rispetto al proprio campo di indagine. Si tratta cioè di "eccedere" il proprio campo di ricerca, prenderne le distanze, temporali e spaziali, e rivolgersi all'estraneo e al lontano, fare attenzione all'eccentrico per ritornare infine al medesimo, al proprio della cultura, in tal modo arricchendolo e trasformandolo. Ne consegue che anche l'oggetto della ricerca si trasforma: in un periodo storico come quello attuale, caratterizzato dall'emergere di nuovi populismi e nuovi nazionalismi, l'attenzione all'estraneo può apparire come un percorso "eccentrico", ma fondamentale per superare luoghi comuni e uno stato dell'arte fossilizzato.
Trasgredire i confini - nazionali, culturali, temporali e disciplinari - seguire delle tracce mnemoniche della cultura ancora invisibili e impalpabili e prestare attenzione agli elementi eccentrici e apparentemente disorganici o "patologici" di essa. «Dovunque esistessero frontiere tra discipline, la biblioteca cercava di stabilire dei legami», scrive Didi-Huberman (G. Didi-Huberman, L'immagine insepolta, Torino 2006 [2002], p. 42). Se Warburg ha affidato all'immagine una funzione di «organo della memoria sociale e engramma delle tensioni spirituali» (G. Agamben, Aby Warburg e la scienza senza nome, in Id., La potenza del pensiero, Vicenza 2005, pp. 123-146, qui p. 135), il presente progetto intende individuare tutte quelle immagini che possano servire per ricostruire alcuni aspetti della nostra cultura e tracciare una "patografia del moderno".

Sebbene gli scritti di Aby Warburg non costituiscano un corpus unitario e organico, ma si presentino piuttosto come frammentari, talvolta frutto di occasioni estemporanee, in essi è possibile ritrovare delle linee-guida del suo pensiero, che in tal modo va incontro a una difficile dialettica tra tendenza alla sistematicità e complessità e frammentarietà, rispecchiando la fragile personalità dell’autore, l’insidioso clima culturale dell’epoca e la metodologia di studio, legata - come si evince dal suo ultimo grande progetto, l’Atlante delle immagini Mnemosyne - alla ricerca dei “particolari” presenti nelle immagini come portatori, spesso nascosti, di una memoria culturale tutta da decifrare.
Proprio nel particolare, nel frammento dell’opera si rivela il suo aspetto più importante e perdurante; questo significa che nella distorsione, nella presenza quasi invisibile, sedimentata e latente, di sintomi patologici, di elementi di attrito o di formule di pathos, si cela una verità dell’immagine che dà significato a un’intera epoca culturale. Questi sintomi, residui fantasmatici e tracce mnestiche, diventano allo stesso tempo significativi in rapporto al tempo storico e alle varie culture in cui essi si perpetuano. Lo scarto e l’anacronismo costituiscono dunque il “negativo” della realtà e del tempo storico concepito come un fluire continuo; la storia della cultura è piuttosto pensata come una “dialettica tensiva” tra forme che non scompaiono mai del tutto e che ritornano, rivelando gli “inconsci del tempo”, la “psicologia della cultura”.
Da questa prospettiva l’arte appare come uno Zwischenraum, una sfera intermedia tra la coscienza storica e l’inconscio culturale, in cui le forme antiche che ricompaiono periodicamente non vanno intese semplicemente come motivi ricorrenti, ma piuttosto come motivi “sopravviventi”, cioè latenti, che non sono in sé né negativi né positivi, perché vengono “polarizzati” nell’incontro con la nuova epoca, assumendo di volta in volta significati nuovi.
Se Warburg nei suoi studi più noti sulla pittura rinascimentale parlava del Nachleben der Antike (A. Warburg, La rinascita del paganesimo antico, Firenze 1965 [1932]), è significativo il fatto che egli si sia poi rivolto alla cultura delle popolazioni cosiddette “primitive” per ritrovarvi le tracce originarie di elementi “sopravvissuti” nel tempo. Le sopravvivenze di cui parla Warburg sembrano manifestarsi come fantasmi, elementi non statici, fissi, evidenti e costanti, ma “intermittenti”, movimenti del tempo, flash effimeri e passeggeri, in grado di rivelare nell’istante l’apparizione di qualcosa di eterno e ricorrente. Questa "morfologia" delle forme, basata sulla dialettica di trasformazione e sopravvivenza, sembra seguire lo stesso principio di polarità di quiete e movimento, forma plastica e dinamismo del divenire, sistole e diastole, di cui parlava Goethe. Warburg parla in particolare della polarità di pathos e ethos all’interno dell’opera d’arte, di un elemento dinamico, patetico e sentimentale e di un elemento stabile e universale. Il concetto di Pathosformel rimanda all'intreccio di una carica emotiva e di una formula iconografica.
Warburg si concentra sulle immagini fantasmatiche come sintomi di un disagio della cultura: è nei momenti di crisi che un’epoca fa affiorare nelle manifestazioni culturali il suo bisogno di cambiamento, la sua originalità, il suo movimento esistenziale. La stessa cultura europea appare come il risultato di tendenze conflittuali, «scissa in una tragica schizofrenia» (G. Agamben, op. cit., p. 138). La crisi, la malattia, il pathos dell’epoca si manifestano nell’arte come movimento e cambiamento, come bisogno di superare e trasformare una condizione critica e sfavorevole. L’arte si rivela essere un movimento dinamico, che ha una vita sua propria; una dynamis interiore, che non si esaurisce, ma si protrae nel tempo e nello spazio. L'arte diventa così, sin dalle prime ricorrenze legate al culto, una sorta di esorcismo, un atto di liberazione da un pathos interiore che viene esternato nell’opera e liberato attraverso il movimento artistico.
Mentre all’indomani della morte di Aby Warburg i suoi eredi hanno iniziato un lavoro di raccolta, pubblicazione e di ricostruzione storico-biografica della vita e dell’opera del loro maestro (Gertud Bing, Fritz Saxl, Erwin Panofsky), molti studiosi, a partire dagli anni Sessanta, hanno riscoperto l’importanza della "metodologia-Warburg". Agli ormai classici studi di Ernst H. Gombrich, Giorgio Agamben e Carlo Ginzburg, in ambito italiano si aggiungono oggi quelli più recenti di Claudia Cieri Via, Davide Stimilli, Monica Centanni e Massimo Ghelardi che spostano l’interesse anche aldilà dello studio della Storia dell’arte e del Rinascimento. Cieri Via fornisce un fondamentale apparato di studio per conoscere e approfondire la ricerca warburghiana (C. Cieri Via, Introduzione a Aby Warburg, Roma-Bari 2011; Ead., Aby Warburg. Il concetto di Pathosformel fra religione, arte e scienza, in M. Bertozzi [ed.], Aby Warburg e le metamorfosi degli antichi dei, Modena 2002, pp. 114-140); Centanni con il suo laboratorio presso l’Università IUAV si occupa di trovare nel lavoro di Warburg un metodo per lo studio dei meccanismi della tradizione classica (per gli studi di M. Centanni su Warburg si rimanda al sito della rivista da lei diretta: <http://www.engramma.it/eOS/index.php> [13.2.2020]). Maurizio Ghelardi ha di recente pubblicato le opere di Warburg in traduzione italiana con un importante apparato critico (Astrologica, Torino 2019 e Aby Warburg. Fra antropologia e storia dell'arte, Torino 2021).
In ambito tedesco contemporaneo vanno sottolineati i lavori di Horst Bredekamp (H. Bredekamp, C. Wedepohl [ed.], Warburg, Cassirerund Einstein im Gespräch, Berlin 2015), della germanista Sigrid Weigel, che nel 2010 ha co-curato l’edizione delle Opere di Warburg edite da Suhrkamp (A. Warburg, Werke, S. Weigel, M. Treml [ed.], Frankfurt a.M. 2010), dell’archivista del Warburg Institute, Claudia Wedepohl, che si occupa di portare alla luce alcuni inediti di Warburg (A. Warburg, “Per monstra ad sphaeram”, D. Stimilli, C. Wedepohl [ed.], Milano 2009 [12008]), di Frank Fehrenbach (F. Fehrenbach [ed.], Kraft, Intensität, Energie. Zur Dynamik der Kunst, Berlin 2018; Id., C. Zumbusch [ed.], Warburg und die Natur, Berlin 2019) e Ulrich Raulff (U. Raulff, Wilde Energien. Vier Versuche zu Aby Warburg, Göttingen 2003) che analizzano il concetto di "energia" in Warburg.
Georges Didi-Huberman, il più noto studioso warburghiano in campo francese, evidenzia nei suoi numerosi scritti il rapporto del pensiero di Warburg con la storia e la filosofia moderne (da Goethe a Nietzsche, da Burckhardt a Benjamin in L’immagine insepolta, cit.), con la letteratura (Pasolini in Come le lucciole. Una politica della sopravvivenza, Torino 2010 [12009] e Brecht in Quando le immagini prendono posizione, Milano 2018 [12009]),[1] con la fotografia (le diapositive della Salpêtrière in L’invenzione dell’isteria. Charcot e l’iconografia fotografica della Salpêtrière, Torino 2008 [11982]).
Altri studiosi si sono focalizzati sull’importanza delle sue idee per la critica teatrale e drammaturgica (Ulrich Port, Pathosformel. Die Tragödie und die Geschichte exaltierter Affekte 1755-1886, Paderborn 2005), per il cinema (Philippe Alain Michaud, Aby Warburg et l’image en mouvement, Paris 1998), per la psicoanalisi (Davide Stimilli, La tintura di Warburg, in L. Binswanger, La guarigione infinita. Storia clinica di Aby Warburg, Vicenza 2005), per l’antropologia, con particolare attenzione alla ritualità delle danze (Giovanni Careri, Aby Warburg. Rituel, Pathosformel et forme intermédiaire, in «L’Homme. Revue francaise d’anthropologie» 165 (2003), pp. 40-76; Id., Gli oggetti di Warburg, in C. Cieri Via, P. Montani (ed.), Lo sguardo di Giano. Aby Warburg fra tempo e memoria, Torino 2004, pp. 453- 476; Carlo Severi, Boas e Warburg. Tra biologia delle immagini e morfologia, in Schifanoia, Pisa-Roma 2013, pp. 81-96, o Sigrid Weigel).
Nonostante i cospicui studi sull’argomento, sembra però ancora mancare uno studio che consideri l’opera warburghiana come punto nevralgico e centro gravitazionale di una costellazione di idee tutta moderna e che possa quindi servire per una analisi profonda, sfaccettata, dinamica e viva degli aspetti più intrinsechi della cultura europea.
Il presente progetto di ricerca si pone, quindi, un doppio obiettivo; da un lato quello di estrapolare dagli scritti di Warburg, per lo più di natura storico-artistica, una “metodologia” che possa essere applicata in diversi ambiti disciplinari. Su questo punto la critica non è sempre unanime, proprio a causa della non-organicità e non-programmaticità dei suoi lavori. Warburg ha infatti operato in maniera estremamente meticolosa, quasi ossessiva, nel raccogliere, catalogare, comparare, analizzare un vasto repertorio di immagini e di studi (basti pensare alla sua Biblioteca e poi all’Atlante Mnemosyne), ma ci ha di contro lasciato pochissimi scritti organici e compatti che possano aiutarci a interpretare il suo pensiero secondo una visione unitaria e definitiva. Proprio in questa apparente non-organicità metodologica può essere, tuttavia, trovata una nuova chiave di studio e interpretazione della modernità, facendo uso dei suoi stessi mezzi e procedendo quindi a partire dall’analisi dei dettagli, dei frammenti, dei sintomi, delle formule di pathos. Dall’altro lato, se Agamben, riprendendo una formula di Robert Klein, ha definito la disciplina di Warburg una «scienza senza nome», vale a dire «una scienza ancora da fondare» (G. Agamben, op. cit.), è opportuno interrogarci sulle infinite potenzialità contenute nei suoi lavori e sulla possibilità futura di fondare una nuova disciplina che tenga conto in maniera trasversale, interculturale e intertemporale dei diversi ambiti scientifici, per una definizione della cultura come un campo di conoscenza aperto, sovra- e transnazionale, dinamico e centrifugo.
[1] Al rapporto di Brecht con l’Atlante di Warburg, anche Monica Centanni ha dedicato il n° 127 della rivista «Engramma» (maggiogiugno 2015).

Quando Didi-Huberman sottolinea l'aspetto "eccedente" del metodo-Warburg, egli sembra suggerirci una metodologia di lavoro che "ecceda" il proprio campo disciplinare e le conoscenze acquisite nel proprio settore e nella propria epoca.
Sebbene le intersezioni, o interferenze, tra la Storia dell'arte e altre discipline siano evidenti nel pensiero di Warburg, esse non sempre sono state oggetto di studi approfonditi. Nella filosofia, ad esempio, è costante il riferimento alla Storia della cultura di Jacob Burckhardt, all'analisi delle forme simboliche di Ernst Cassirer, alla filosofia di Nietzsche della nascita della tragedia come frutto dell'incontro di due tendenze opposte, o al pensiero di Walter Benjamin dell'"immagine dialettica" (cfr. Alice Barale, La malinconia dell'immagine. Rappresentazione e significato in Benjamin e Warburg, Firenze 2009; e D. Stimilli [ed.], Aby Warburg. La dialettica dell'immagine, «Aut-Aut», 321-322 [2004]), mentre solo raramente viene citato Warburg come precursore di alcune tendenze filosofiche della seconda metà del Novecento (il perceptual turn o la fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty). Anche in ambito antropologico, se da un lato si evidenziano le influenze di Hermann Usener o Tito Vignoli su Warburg, poca attenzione viene data a Lucien Lévy-Bruhl, il cui pensiero ha, al contrario, molti punti di contatto con quello dell'autore. Sono carenti gli studi che si focalizzano sul rapporto di Warburg con la psicoanalisi di Freud e Jung, sul paragone tra il concetto di Nachleben e quello junghiano di archetipo collettivo, ma soprattutto sulla possibilità di utilizzare gli scritti di Warburg per tracciare una "psicoanalisi culturale". Il presente progetto di ricerca intende fare un primo passo per colmare questa lacuna negli studi warburghiani e non solo, ponendo tuttavia particolare attenzione al modo in cui queste discipline - la filosofia, l'antropologia, la psicoanalisi - entrano in contatto con laletteratura moderna. Anche gli studi di carattere letterario si sono fino ad ora per lo più concentrati sul rapporto di Warburg con la letteratura classica, ponendo solo raramente le basi per un confronto con la letteratura dell'Ottocento e del Novecento. Sebbene a livello teorico molti autori abbiano sottolineato l'importanza del rapporto tra parola e immagine, letteratura e arte figurativa, che parte da Goethe e arriva alla cultura del Novecento, poca attenzione è stata data all'elemento "perturbante" o "patetico" di questo rapporto (cfr. Roberto Venuti, Aby Warburg. Sismografo tra le culture, «Moderna» 6 [2], pp. 13-21). Mostrare nell'arte e nella letteratura le forme nella loro mutevolezza implica necessariamente l'accettazione di tutti quegli elementi invasivi, estranei, non-armoniosi, "patetici", che erompono dall'opera d'arte, infrangendo la sua linearità plastica e contravvenendo ai principi di armonia e trasparenza.
Un primo ciclo di incontri dedicati a Warburg è stato organizzato questo a.a. dalla proponente, da Gabriele Guerra e Giulia Iannucci all'interno del seminario interdisciplinare del Corso di LM in Scienze linguistiche letterarie e della traduzione. Si è deciso inoltre, di dedicare a Warburg il prossimo numero della rivista "links", diretta da Gabriele Guerra.

 

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